L’avvento di un nuovo paradigma? Cosa aspettarsi nel post pandemia?

29 giugno 2020

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“Quelli che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo” George Santayana

Il 2020 sarà forse ricordato nei libri di storia di questo secolo come un anno cruciale, non solo per la devastazione causata dall’attuale pandemia, che ha messo fine a dieci anni di crescita, ma anche per il nuovo regime economico che si sta delineando.

Infatti, le misure senza precedenti introdotte da governi e banche centrali per contrastare la crisi del COVID-19 segnano una rottura con il mix di politiche degli ultimi decenni. Ci addentriamo in un territorio sconosciuto, dove abbondano i confronti; ci sono ad esempio analogie con alcuni periodi del secolo scorso, come gli anni Trenta (il New Deal), il dopoguerra (l’estensione dello Stato assistenziale) e gli anni Settanta. Tuttavia, già negli ultimi tempi avevano iniziato ad emergere fattori di cambiamento.

Nell’Eurozona la dottrina del rigore aveva spinto la Commissione europea, allarmata dalle tensioni sociali e dall’ascesa del populismo, ad accettare senza troppe remore un’espansione fiscale, a patto che fosse accompagnata da riforme strutturali. Nel 2013 il Fondo monetario internazionale (FMI) aveva fatto mea culpa, ammettendo di aver sottovalutato l’effetto recessivo dell’austerità. Più di recente, nel 2017 anche la strategia economica di Emmanuel Macron si era posta in netta discontinuità rispetto a quella dei suoi due predecessori, con una politica maggiormente incentrata su riforme per stimolare la crescita anziché sui tradizionali tagli di bilancio.

In merito agli Stati Uniti, potremmo parlare più di un’accelerazione dell’interventismo monetario e fiscale che di un reale cambiamento. Il rigore di bilancio non è mai stato un cavallo di battaglia dell’amministrazione Trump e la Federal Reserve ha cambiato rotta rispetto al primo quantitative easing (QE) del 2008, inaugurando l’era della monetizzazione del debito.

Dal vertice di Davos si erano inoltre levate voci contro le crescenti diseguaglianze. La loro eco si era fatta sentire fino a Stoccolma, come dimostra il numero di premi Nobel assegnati ad economisti di questa scuola di pensiero, dopo che per decenni era stata quella neoclassica a dominare. Karl Marx aveva ragione quando scrisse: “Cos’altro dimostra la storia delle idee, se non che la produzione intellettuale si trasforma assieme a quella materiale?”.

Alla luce del cambiamento climatico e delle diseguaglianze sociali che contribuisce ad aggravare, la “globalizzazione felice” è stata oggetto di critiche sempre più aspre. Inoltre, l’urgenza della lotta al riscaldamento globale aveva già ispirato riflessioni sull’esigenza di un QE monetario od un New Deal fiscale improntato al rispetto dell’ambiente.

Tuttavia, è probabile che la crisi del COVID-19, in ragione dello shock in atto, l’imponente intervento richiesto e le conseguenze durature sulle traiettorie del debito, rappresenti il catalizzatore per un cambio di paradigma ora più accettato, definito con maggiore chiarezza ed auspicato. Anche in questo caso il confronto con le più gravi recessioni dello scorso secolo ha indotto i governi a correre ai ripari, varando misure senza precedenti in termini di portata e talvolta di innovazione. Questa novità cela tuttavia un paradosso dal quale affiorano un regime di politiche economiche ed una scuola di pensiero più simili a quelli in auge nella seconda metà del XX secolo, almeno sul piano fiscale.

 

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Global Outlook, pubblicato il 01/06/2020 - Estratto dall'Editoriale

29 giugno 2020

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